Francesco Becchetti

Il mio nome è Francesco Becchetti.

Ho combattuto contro la persecuzione politica di almeno un governo.

Ho sempre vinto.

Le registrazioni del processo

Ascolta le registrazioni (sottotitolate in italiano e inglese) del mio processo penale a Tirana, in cui il tribunale ha ordinato l'intervento della polizia per allontanare gli avvocati, in violazione alla Convenzione ONU, per non consentirgli le arringhe finali.

Esiste un solo altro caso in Europa, sotto Ceaușescu in Romania nel 1971.

Registrazione sub ITA Registrazione sub ENG


Il Governo Italiano e la protezione diplomatica

Alla luce della definitività della pronuncia ICSID, confido che questa storia giunga ad una degna conclusione con l’intervento perentorio del Governo Italiano, a mia tutela, in protezione diplomatica, ai sensi dell’art. 27.1 della Convenzione ICSID stessa, nei confronti dell’Albania e con una presa di posizione formale nella qualità di azionista della partecipata ENEL S.p.A. affinché riprenda in questa vicenda, dopo dieci anni, il rispetto della legge e delle sentenze.

Il mancato intervento del Governo della Nazione confermerebbe la “delega” al Governo albanese, a suo tempo conferita, di continuare nella persecuzione al fine di giustiziarmi.

La lettera al governo

Leggi la lettera All. 1 - Vice Primo Ministro Albanese All. 2 - Mr. Ben Swagerman All. 3 - ENEL e Starace

La lettera all'ambasciatore

Leggi la lettera All. 1 - Nota Ambasciatore Gaiani prot. 3105 All. 2 - Nota Ambasciatore Gaiani prot. 3363 All. 3 - Vice Primo Ministro Balluku

Il parere dell'Avvocato dello Stato Carlo Maria Pasini

Scarica il volantino

La persecuzione dell'Albania e di Enel

All’indomani della pronuncia dell'ICSID, la vice Primo Ministro albanese Balluku ha di fatto confessato che il Governo Rama sta combattendo contro di me non solo per il suo Paese, ma anche per aiutare “altri”.

La verità sull'Albania ed Enel

L’ultima vittoria

Il 29 Marzo 2023, un tribunale dell'ICSID ha rigettato la richiesta dell'Albania di revisionare il lodo da 110 milioni di euro a favore di Francesco Becchetti.

Il verdetto ha respinto categoricamente i tentativi infondati del governo albanese di contestare il risultato, in assenza di nuovi fatti rilevanti.

Una decisione unanime che ha scolpito nella pietra una delle peggiori persecuzioni politiche della storia contemporanea europea.

La notizia sulla stampa

Leggi sulle testate italiane:

Comunicato stampa Il Fatto Quotidiano Dagospia

Leggi dal Global Arbitration Review:

Articolo originale Traduzione italiana


Il lodo

Il 24 aprile 2019, il Tribunale internazionale ICSID, della Banca Mondiale, organismo preposto alla risoluzione delle controversie fra Stati ed investitori stranieri, ha emesso, all’unanimità, una sentenza arbitrale, confermata sempre all’unanimità dal Comitato ICSID il 2 aprile 2021, con la quale si accerta la grave illegittimità delle azioni intraprese dalle Autorità albanesi nei confronti di Francesco Becchetti e del suo gruppo imprenditoriale, in aperta violazione del diritto internazionale.

Il Lodo arbitrale in particolare conclude affermando:

- che le decisioni relative al sequestro della TV Agon Channel emesse dal Tribunale di Tirana sono state il culmine di una campagna politica realizzata dall’Albania attraverso l’uso illegittimo dei suoi poteri di polizia contro Francesco Becchetti e gli altri;

- che le indagini penali, avviate dalla Procura di Tirana contro Agon Channel, sono state una deliberata interferenza con l’attività di Agon Channel, motivata dalle critiche di Agon Channel al Governo Rama, considerato vicino ai concorrenti;

- che il Segretario Generale (E.A.) del Primo Ministro Rama ha dichiarato che se Francesco Becchetti voleva capire perché i suoi investimenti erano sotto inchiesta avrebbe dovuto parlare con uno dei concorrenti e che non era una buona idea opporsi allo Stato;

- che vi erano difetti sostanziali alla base delle accuse su cui si fondavano le indagini penali;

- che gli investimenti di Francesco Becchetti sono stati espropriati in violazione dell'articolo 5 del Trattato Bilaterale sulla Promozione e Protezione degli Investimenti tra Italia – Albania.

Visto il grave inadempimento del Governo albanese da tanto tempo ho cercato di ottenere dal Ministero degli Affari Esteri Italiano la protezione diplomatica che mi è dovuta in base alle norme di diritto internazionale e della nostra Costituzione, presentando formali istanze in tal senso.
Nel caso di gravi violazioni dei diritti umani, come quelle perpetrate ai miei danni, il diritto internazionale non lascia alcun margine di discrezionalità allo Stato di nazionalità, il quale ha il dovere giuridico di intervenire in protezione diplomatica del proprio cittadino per garantire la protezione effettiva dei suoi diritti fondamentali.
Ciò si ricava in particolare:

Nonostante tutto ciò, inspiegabilmente, il Ministro degli Esteri Italiano non si è neppure degnato di una risposta alle mie istanze di protezione diplomatica, nel perdurare mi riservo di citarlo al Tribunale di Roma.


E in Italia?


Scarica i documenti:

Notifica della sentenza Sentenza completa (originale) Sentenza completa (traduzione ITA)


La mia storia

Nel 1993, da giovane e già affermato imprenditore italiano impegnato nelle più importanti opere idrauliche del nostro Paese, intuivo, tra i primi in Europa, che le energie rinnovabili avrebbero rappresentato uno dei più importanti business degli anni 2000.

Concentravo in particolare la mia attenzione sull’Albania, un Paese faticosamente uscito da una feroce dittatura che si approcciava ai valori democratici dell’Occidente e che era dotato di un potenziale idroelettrico enorme non ancora sviluppato. Mettevo quindi a loro disposizione le mie visioni, le mie capacità imprenditoriali e loro credevano in me e mi consideravano il benvenuto.

Dal 1993 al 1996 abbiamo svolto studi e verifiche a nostre spese su tutto il potenziale idroelettrico del Paese, ed in particolare quello del fiume Vjosa, tenendo conto degli standard della Banca Mondiale. Il piano di fattibilità in chiave idroelettrica del fiume Vjosa da noi realizzato era compatibile e innovativo ed a distanza di 15 anni veniva confermato da colossi dell’ingegneria incaricati dalla Banca Mondiale.

Abbiamo quindi focalizzato la nostra attenzione, anzitutto, sulla realizzazione di un primo impianto idroelettrico a Kalivac sul fiume Vjosa. Era il 1996. Per finanziare l’opera decidevamo naturalmente di fare ricorso al project financing e quindi avevamo necessità di un off taker dell’energia di lungo periodo. Chi meglio dell’Enel, l’azienda dello Stato italiano, al tempo monopolista anche per l’importazione di energia, poteva essere interessato a circa 400 milioni di KWh/a per 26 anni di nuova energia rinnovabile con un’ipotesi di altre centrali fino a 2 TWh/a su tutto il Vjosa? Infatti Enel si apprestava a realizzare il cavo sottomarino Grecia -Italia. Quando poi si verificava che l’energia prodotta dall’impianto di Kalivac avrebbe avuto anche il diritto ai c.d. Certificati Verdi in Italia, Enel – che aveva necessità di acquisirli – si dichiarava interessata a partecipare al progetto anche come azionista e General Contractor. Ciò veniva approvato dal consiglio di amministrazione di Enel S.p.A. del 15.02.2000, come esplicitato nel comunicato stampa “price sensitive” del 24.02.2000, con affidamento del ruolo di azionista e General Contractor del progetto ad Enelpower, già divisione interna Ingegneria e Costruzioni di Enel, che nel frattempo era divenuta società per azioni controllata al 100% da Enel e alla quale è subentrata nell’accordo con BEG.

Pronti per partire, il CEO di Enelpower Luigi Giuffrida, nel luglio 2000, mi richiedeva una “maggiorazione” ingiustificata di 25 milioni di euro che io rifiutavo perentoriamente e categoricamente perché del tutto immotivata. Giuffrida ed i suoi, di lì a poco, sarebbero stati arrestati dalla Procura di Milano per tangenti ricevute di 25 milioni di euro su ognuno dei progetti che Enelpower aveva all’estero.

Al mio rifiuto, Enelpower si ritirava unilateralmente dal progetto, così come mi aveva anticipato Giuffrida. Di fatto, faceva saltare un progetto virtuoso che avrebbe portato importanti utili all’Enel e quindi ai cittadini italiani, un grande sviluppo all’Albania in quel momento e il giusto riscontro ad un giovane imprenditore che tanto si era dato da fare per questo progetto.

BEG era quindi costretta a promuovere un arbitrato contro Enelpower per inadempienza contrattuale, nominando arbitro il Prof. GG. Enelpower, dal canto suo, nominava il Prof. NI, il quale accettava l’incarico senza dichiarare, come avrebbe dovuto, che era stato Vice Presidente di Enel al momento dell’avvio delle trattative di Kalivac e che patrocinava come avvocato per Enel in Cassazione nel caso Vajont durante lo svolgimento dell’arbitrato, con incarico ricevuto quando Enelpower era la divisione Ingegneria e Costruzioni di Enel.

Quando sono venuto a conoscenza, con mio grande stupore, di tale circostanza, ho immediatamente ricusato l’arbitro Prof. NI, ritenendo, per ovvie ragioni, che egli non potesse svolgere il ruolo di arbitro indipendente e imparziale in una controversia che vedeva accusata la società controllata al 100% da Enel. Ma proprio lo stesso giorno, guarda il caso, veniva depositato un lodo arbitrale approvato a maggioranza con il voto decisivo del Prof. NI, senza neppure la firma dell’arbitro Prof. GG, nominato da BEG. Le mie istanze di ricusazione venivano, dunque, respinte, in quanto ritenute successive all’adozione del lodo.

Ho allora impugnato il lodo per nullità dinanzi alla Corte di appello di Roma, prima, e dinanzi alla Suprema Corte di cassazione, poi. Ma neppure le giurisdizioni italiane hanno voluto porre rimedio a questa situazione. In particolare, la Corte di cassazione ha ritenuto che il lodo non fosse viziato in quanto, pur essendo l’arbitro Prof. NI l’avvocato di Enel, controllante al 100% di Enelpower, non vi sarebbe stata la prova di una “coincidenza di interessi” (!).

BEG ha allora appellato, nel 2012, alla Corte europea di Strasburgo per lamentare la violazione del principio dell’indipendenza e dell’imparzialità del giudicante consacrato dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

Dopo molti anni, e precisamente il 20 maggio 2021, la Corte europea ha reso la sua sentenza, che è divenuta definitiva il 20 agosto 2021. In tale sentenza, le ragioni di BEG sono state integralmente accolte. La Corte ha ritenuto, infatti, all’unanimità e con il voto del giudice eletto per l’Italia, che il Prof. NI non potesse ricoprire il ruolo di arbitro in quanto era stato Vice-Presidente di Enel all’epoca dell’avvio delle trattative per il progetto di Kalivac ed era stato anche avvocato di Enel durante lo svolgimento del procedimento arbitrale. Secondo la Corte, dunque, le giurisdizioni italiane hanno omesso di garantire – come pure potevano e dovevano fare – l’indipendenza e l’imparzialità dell’arbitro, convalidando un lodo affetto da una violazione dell’art. 6 CEDU. La Corte ha respinto seccamente la tesi sostenuta dal Governo italiano, sulla scia delle sentenze interne, secondo cui il Prof. NI era avvocato di Enel e non della sua controllata Enelpower, rilevando l’ovvio, e cioè che “Enelpower era all’epoca interamente controllata dall’Enel, che deteneva il 100% del suo capitale azionario” e che, inoltre, “quando era iniziata la controversia civile, l’Enelpower era ancora una divisione interna nell’ambito dell’Enel”.

La Corte, per i motivi esposti, ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’art. 6 CEDU, demandando a quest’ultimo l’individuazione delle misure più appropriate per dare esecuzione alla sentenza nell’ordinamento interno. In sostanza, il Prof. NI non poteva essere arbitro. Ciò nonostante, tutto il gruppo Enel lo ha attivamente sempre difeso in ogni modo, sostenendo l’insostenibile, e cioè che Enel non era Enelpower e che, dunque, il lodo arbitrale – adottato a maggioranza con il voto determinante dell’arbitro NI – fosse pienamente valido! Questa posizione è oggi smentita clamorosamente, e in modo definitivo, dalla Corte europea dei diritti umani, che finalmente, dopo anni di battaglie, ha accertato che BEG è stata vittima di una decisione ingiusta a causa di un arbitro che ha omesso di dichiarare i propri rapporti professionali (passati e presenti) con una delle parti e del mancato intervento correttivo delle giurisdizioni italiane in sede di controllo sulla validità del lodo.

Che dire.

La consapevolezza che questa lunga battaglia, che ha riguardato almeno venti anni della mia vita, con i rischi enormi a cui la mia esistenza stessa è stata ed è esposta, fosse utile perché ad altri giovani imprenditori italiani non fossero riservati trattamenti così ingiusti, mi ha dato la forza e l’onore di portarla avanti.


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